Il possibile - L’uomo é libero e la sua esistenza ha infinite possibilità. Il possibile é la categoria più difficile, perché ci mette davanti alla precarietà.
La possibilità, non è da intendersi solo in senso positivo, cioè possibilità di fare cioè di riuscire a fare, la possibilità di costruire la propria vita, ma è anche la possibilità di non riuscire a fare, la possibilità di un fallimento, e così via.
L’individuo che sceglie, non sa cosa lo aspetta, perché il possibile é infinitamente possibile, e questo lo angoscia.
É l’angoscia a caratterizzare il rapporto tra l’uomo e il mondo.
L’angoscia di cui parla Kierkegaard è la condizione esistenziale generata dalla vertigine della libertà o della possibilità, e dalle infinite possibilità negative che incombono sulla vita e sulla personalità dell’uomo.
La fede - Nel rapporto soggetto-se stesso abbiamo invece la disperazione. L’uomo non può essere privato della possibilità, ma l’angoscia che lo pervade lo rende costretto a difendersi dalla possibilità stessa. Il solo modo che l’uomo ha per ripararsi dall’angoscia é trovare confrto in Dio, Signore di ogni possibilità.
Dio - Ma anche la fede, per Kierkegaard, é inquieta, perché Dio dà all’uomo tante possibilità. Hegel faceva manifestare Dio come Assoluto nella storia, mentre per Kierkegaard Dio é un singolo infinito, é altro Assoluto e irraggiungibile.
La paura è paura nei confronti di qualcosa di determinato mentre l’angoscia nasce dalla pura possibilità, dalla possibilità allo stato puro. La paura è sempre qualcosa di determinato, è paura di qualcosa ma non di qualcos’altro, invece l’angoscia è una sorta di paralisi che nasce dalla pura possibilità, dalla vertigine della possibilità e quindi l’angoscia riguarda comunque il rapporto con il mondo, mentre la disperazione riguarda il rapporto dell’io, del singolo con se stesso.
Kierkegaard se n’era già occupato in un testo che s’intitola “il concetto dell’angoscia”. Come caratterizzare l’angoscia? Intanto differenziandola dalla paura che è paura sempre di qualcosa, la paura non è vaga e indefinita ma determinata, L’angoscia invece è qualcosa di molto più sottile e spaventoso perché è una paura indistinta e caratterizza la condizione umana. in Kierkegaard è centrale questa nozione di possibilità, cioè l’esistenza è possibilità.
La possibilità, non è da intendersi solo in senso positivo, cioè possibilità di fare cioè di riuscire a fare, la possibilità di costruire la propria vita, ma è anche la possibilità di non riuscire a fare, la possibilità di un fallimento, e così via.
L’angoscia di cui parla Kierkegaard è la condizione esistenziale generata dalla vertigine della libertà o della possibilità, e dalle infinite possibilità negative che incombono sulla vita e sulla personalità dell’uomo. Per questi suoi caratteri l’angoscia è diversa dalla paura che si trova al cospetto di una situazione determinata. Inoltre, essa è un sentimento tipicamente umano. Da qui, la centralità dell’esistenza, perché solo l’uomo esiste, gli animali vivono ma l’uomo esiste e questo sentimento dell’angoscia è caratteristico dell’esistenza. In sintesi, più profonda è l’angoscia e più grande è l’uomo, e questa è una cosa che troviamo anche in Shophenauer, il quale scrive che l’uomo di genio è l’uomo più infelice di tutti perché è consapevole, cioè quanto più un uomo è grande, nel senso di sensibile, quanto più soffre perché si rende conto di che cos’è la vita, più si è consapevoli e più si soffre, e questa non è un’idea sbagliata, è un’idea anche leopardiana. Questa però è una cosa anche abbastanza comune perché molti di noi pensano che chi non si fa problemi ha anche una vita abbastanza facile. Bene. Che cos’è la disperazione? Allora, mentre l’angoscia si riferisce al rapporto dell’uomo con il mondo, perché è legata alla libertà di agire, ma anche di non agire, alla possibilità, alla scelta, quindi ha a che fare con il mondo che è questo insieme di possibilità infinite, la disperazione che Kierkegaard chiama “malattia mortale”, investe l’uomo nel rapporto con se stesso. L’angoscia ha a che fare con il singolo nel suo rapporto con il mondo, mentre la disperazione ha a che fare con il singolo nel suo rapporto con se stesso. Allora due sono le possibilità nel rapporto del singolo con se stesso, la prima è che il singolo voglia essere se stesso e la seconda è che il singolo non voglia essere se stesso. Se non vuole essere se stesso, cioè se vuole essere altro, ovviamente la crisi esplode. Se l’uomo non sceglie di essere se stesso ma sceglie di essere altro, vuol dire che fa una scelta impossibile e quindi la sua vita diventa un problema. Ecco la disperazione. Ma la crisi, secondo Kierkegaard, si ha anche quando l’uomo vuole essere se stesso e sceglie di essere se stesso, perché comunque l’uomo è finito. Qui però bisogna partire dalle premesse religiose di Kierkegaard. Dunque, che cosa ci salva da questa malattia mortale? La fede. La fede, per quanto sia paradosso e scandalo, rappresenta la salvezza. E’ anche interessante sottolineare che Kierkegaard pone sempre la questione in termini di contraddizione logica, quindi se io voglio essere diverso da me mi contraddico, cioè se io non voglio essere me stesso, voglio l’impossibile, quindi mi sto contraddicendo, e allora la mia vita diventa una vita disperata, una vita di chi vuole essere altro da se, ma non ci può essere altro da se. La seconda possibilità è anche quella contradditoria perché appunto l’autonomia come assolutezza non è umana, perché l’uomo non è un assoluto. L’assoluto è altro, è dio, l’uomo è una creatura, è una creatura dipendente, l’uomo è finito, quindi se non accetta di mettersi in rapporto con l’infinito, si illude di poter trovare in sé l’infinito, ma non lo troverà mai. Anche qui, bisogna partire dalle premesse, che sono le premesse date dalla fede religiosa, Kierkegaard non si nasconde rispetto a questo, in quanto è un filosofo cristiano, è un filosofo del cristianesimo.